Appunti Corso ASA OSS Animazione per anziani

Appunti corso di psicologia “Animazione per Anziani Residenti” indirizzato a operatori OSS ASA in formazione.

Spunti di lettura e di riflessione

 

L’Animazione

 

 

necessità di implementare pratiche nuove che

coinvolgono tutte le figure professionali e che hanno come obiettivo principale il benessere

della persona nella sua globalità. Questo concetto ha implicazioni in due ambiti:

– Teorico, in quanto se un’istituzione come la R.s.a. condivide l’approccio “globale” si

caratterizzerà non più e non solo come “Casa di Cura o di Riposo” in cui il centro è

l’assistenza sanitaria e il soddisfacimento dei bisogni primari, ma come

 

domicilio

 

dell’anziano protagonista della propria vita e degli spazi che lo accolgono.

– Pratico, in quanto richiede una modificazione significativa dell’agire quotidiano da

parte degli operatori, non tanto rispetto al “cosa” fare, ma al “come” fare.

Il lavoro proposto mira a collocare l’approccio “globale” all’interno della pratica quotidiana,

con particolare attenzione all’aspetto animativo di ogni singola azione.

 

L’animazione infatti non può e non deve ridursi al fare attività, bensì a portare benessere e qualità di vita alla persona anziana residente in R.s.a.

 

Questa prospettiva implica la diffusione e l’incremento di

una cultura di animazione intesa come personalizzazione dell’intervento.

La necessità di un approccio che guarda al singolo è molto evidente oggi all’interno di un

mutato contesto sociale che vede un incremento notevole della popolazione anziana e una

nuova composizione dell’utenza che entra nelle strutture rispetto a quella di qualche decennio

fa.

IL CONCETTO DI ANIMAZIONE GLOBALE

1.1 UN APPROCCIO AD AMPIO RAGGIO.

L’aggettivo globale si riferisce a due aspetti, da una parte guarda il singolo individuo nella sua

complessità (vita, storia, vissuti…), dall’altra presuppone un intervento integrato tra le varie

figure professionali “che si prendono cura” della persona.

Il termine animazione perciò perde il significato classico di “attività”, in particolare di gruppo,

e va a caratterizzarsi come attenzione particolare alle esigenze e caratteristiche che ogni

singolo individuo manifesta. In questo senso l’educatore professionale sanitario utilizza

l’animazione come strumento per raggiungere gli obiettivi prefissati e non come fine a se

stessa.

Diventa prioritaria l’attenzione alla storia personale dell’anziano, ai suoi vissuti, alla sua rete

familiare e sociale. L’animazione globale si manifesta così maggiormente nei momenti

cruciali della vita dell’ospite in casa di riposo (ingresso, fase di ambientamento, accettazione

dei limiti dovuti allo stato di salute, aggravamento delle condizioni personali, lutti…). In tali

momenti l’ospite ha particolarmente bisogno di un intervento che guarda alla sua

individualità; ma perché esso sia efficace (per il singolo) non può essere effettuato da una sola

figura professionale, bensì da tutta l’équipe che deve essere e sentirsi coinvolta.

Di fronte ai nuovi bisogni e alle nuove richieste degli anziani, quindi, non può più essere la

singola professionalità a farsene carico, ma l’intervento deve essere condiviso ed integrato

con l’intera equipe multiprofessionale che segue la persona.

Anche in questo senso, parlando di animazione, si può utilizzare il termine globale, in quanto

essa coinvolge le varie figure professionali in un intervento sinergico e collaborativo.

Questo modo di lavorare presuppone che ogni singolo professionista collochi il proprio

intervento in un progetto ad ampio respiro che tiene conto della globalità della persona; si

passa quindi da un’ottica settoriale a quella di molteplicità, il cui fine è il raggiungimento di

obiettivi comuni e condivisi per il benessere del residente protagonista.

 

 

1.2 APPLICAZIONI PRATICHE DELL’ANIMAZIONE GLOBALE

L’animazione globale significa innanzitutto conoscenza personale dell’anziano da parte

dell’èquipe.

Sicuramente un aspetto importante è l’ingresso in R.s.a 1. Questo rappresenta un momento

cruciale, in quanto comporta una rottura con lo stile di vita precedente, un cambiamento di

abitazione, una condivisione di spazi e tempi con altre persone, non scelte. Spesso in questo

momento ci sono vissuti diversi, legati e dettati dalla storia e dalle esperienze personali di

ciascuno. Ma in gioco non sono solo i vissuti del diretto interessato (l’anziano), ma anche dei

famigliari che l’accompagnano. Spesso si vedono parenti con sensi di colpa per aver deciso di

inserire il proprio caro in R.s.a. e per affidarlo a persone estranee, con sensi di frustrazione per

la propria incapacità di gestirlo, con vissuti legati al rapporto instaurato nel corso della vita

con il proprio caro…

In questo momento è fondamentale non tanto il fare quanto l’esserci, la presenza,

l’accoglienza. Naturalmente è opportuno che ciò avvenga da parte di tutte le figure

professionali; è necessario quindi responsabilizzare tutti ad aspettare e accogliere la persona

che entra in casa di riposo. In questo senso è corretto parlare di animazione globale.

La stessa attenzione vale anche per altri momenti della quotidianità, tanto che il temine

animazione (globale) assume il significato di attenzione individualizzata ad una persona

maggiormente in difficoltà. E’ il caso, ad esempio, delle persone con problematiche

psichiatriche o con demenza. Ma è anche attenzione al contesto e ambiente di vita, ad esempio

nella personalizzazione dei luoghi. E’ infatti importante dare la possibilità di differenziare e

rendere più familiare la propria stanza, ma anche gli spazi comuni, gli arredamenti, le

suppellettili, l’illuminazione, la destinazione delle sale ecc., in questo modo si va a ricreare un

clima familiare (non di ospedale), legato alla storia e alle esperienze di vita personali.

La personalizzazione e l’attenzione al singolo in un’ottica di intervento globale quindi

possono trovare applicazione in ogni momento di vita quotidiana .

Nella realizzazione di un progetto di questo tipo possono avere un ruolo importante i

familiari: con loro va costruito un rapporto significativo e di collaborazione, vanno condivisi

gli obiettivi. Altrettanto significativa e proficua può essere la collaborazione con il territorio,

utilizzando le risorse che esso offre e le reti sociali che la persona aveva prima dell’entrata in

R.s.a.

Oggi innovare nel campo della vecchiaia è soprattutto cambiare atteggiamento nei confronti

di questa tappa della vita. E’ adottare una visione realistica, positiva e umanistica, fondata

sul rispetto profondo per ogni persona da assistere nel progredire con l’età.” (Guisset 1997)

In tal senso si può dire che anche nelle istituzioni per anziani si è progressivamente passati da

un ottica medico sanitaria del curing che mira a produrre guarigione, a quella del care, cioè

dell’aver cura o prendersi cura della persona. (Folgheraiter 2002) Tale cambio di prospettiva

permette di superare in maniera globale, anche se non automatica, la visione dell’anziano

come “ammalato” o “paziente cronico”, cui garantire le migliori prestazioni tecnico –

sanitarie. Porta con sé la necessità di passare oltre il bisogno di “sicurezza” dell’operatore, di

“sterilizzare” ogni cosa (anche le relazioni), che ha permesso di esercitare sempre più potere

sugli anziani in nome dell’igiene, della tutela della salute, del timore che possano correre

rischi, del desiderio che non si chiudano in se stessi

3.2 COSA SIGNIFICA FARE ANIMAZIONE OGGI?

Va innanzitutto fatta una distinzione fra il concetto di animazione e quello di attività:

“La parola «animazione(i)» indica spesso attività organizzate ogni tanto, svolte ora dai membri

del personale ora da operatori esterni (cantante, prestigiatore, musicista, gruppi… ). Sarebbe più

giusto, allora, parlare di «attività».

Sarebbe tanto di guadagnato se si parlasse sempre di «animazione», al singolare: sarebbe più

chiaro per tutti che «le attività» sono solo una parte dell’animazione. Non ne sono neanche la

parte più importante, né la prima.

La cosa più importante, a cui bisogna stare attenti prima di tutto, è l’animazione della vita

quotidiana. Cioè, considerare come tutti i gesti, le parole, gli avvenimenti… della vita di ogni

giorno sono o possono essere «animati e animanti». L’animazione, dice un infermiere generico,

«comincia con il primo “buongiorno” del mattino». Sembra evidente? semplice?” (Pichaud,

Thareau 2000)

Animazione non significa intrattenere o far trascorrere più o meno piacevolmente il tempo

libero, ma anzitutto facilitare processi attraverso i quali le persone possano riscoprire la

capacità di abitare il tempo che vivono, anche quando è tempo di crisi, apparentemente vuoto.

 

17

Il fulcro dell’animazione, dunque, non è il “fare”, ma lo “stare”, l’esserci, in tal senso si può

dire che il centro non sono più le attività classiche, ma le relazioni.

In quest’ottica non si può più pensare all’animazione come a un’azione volta a risolvere i

nuovi bisogni in maniera specialistica, perché questo porterebbe sicuramente ad una visione

dell’intervento nei confronti degli anziani settorializzato e asettico.

Altresì non si possono più ipotizzare interventi senza riflettere sul significato di cosa sia e

cosa si intenda per progetto di vita in una comunità e sulle specificità delle singole persone

che la abitano. Tale passaggio può definirsi tutt’altro che semplice, visto che all’interno di

ogni struttura la relazione d’aiuto è svolta da una varietà di figure professionali (infermieri,

medici, educatori, fisioterapisti, osa, oss, assistenti sociali ecc.) che provengono da percorsi

formativi diversi tra loro e che spesso trovano difficile condividere linguaggio, progetti e

obiettivi. Ciò che occorre quindi non è semplicemente un nuovo progetto di animazione ma

un nuovo modo di vedere e concepire l’essere in R.s.a..

“Una casa può essere molto animata… e le persone pochissimo o per niente. [].

Un istituto può affiggere un numero impressionante di attività dette «di animazione»… mentre

la stragrande maggioranza degli ospiti non beneficia di alcuna animazione: perché sono

molto dipendenti, o perché «a loro non interessa», o ancora «perché non vogliono fare

niente»…

 

Il solo modo di apprendere l’animazione come si conviene è di considerarla prendendo come

punto di riferimento gli ospiti e anche, il più possibile, ciascun ospite.

Per esempio, in molti istituti i saloni previsti perché gli ospiti possano soggiornarvi e

incontrarsi sono deserti… mentre l’atrio è affollato. Facendo questa constatazione, un

direttore, con la sua équipe, si è detto che gli ospiti indicavano la via da seguire: se

preferiscono l’atrio è perché la vita è là.” (Pichaud, Thareau 2000)

Nel modello assistenziale – sanitario, che per decenni ha caratterizzato e condizionato la

percezione e la gestione della R.s.a. (tipo ospedaliero), l’animazione è stata associata solo al

tempo libero: veniva considerata un contorno alla quotidianità, che si concretizzava in

prestazioni, proposte prevalentemente di tipo gruppale, che richiamavano alla memoria

l’animazione turistica. Credo che ormai tale visione sia considerata superata a livello

bibliografico e tecnico, ma che abbia ancora una certa importanza e influenza nella mentalità

delle persone.4

4L’animazione è un qualcosa che

coinvolge e riguarda tutti, perché coinvolge il clima delle relazioni, l’atmosfera, il rapporto

con l’altro, con l’ambiente, con i cambiamenti e con le proprie condizioni fisiche e

psicologiche. Non si tratta altro che del tessuto dei vissuti che regge la vita quotidiana di chi

vive in una casa comunitaria.

Il concetto, viene spiegato, seppur in maniera parziale dalle parole di un’animatrice, riportate

da Sardella e Terracino:

“L’attività non è animazione.

L’ attività è un modo per raggiungere l’obiettivo.

L’obiettivo da tener presente è: far tirar fuori, recuperare, raggiungere e raccogliere se

stessi, il proprio essere, le proprie idee, il proprio pensiero. Recuperare così pure i propri

sogni, le proprie capacità, i propri desideri.

Questo per raggiungere veramente la libertà di essere se stessi, apprezzare il proprio essere

stanco o vivo o lento, e avere in mano la libertà di manifestare il proprio carattere.

Riacquistando sicurezza, conoscendo le proprie potenzialità, motivando la propria

individualità e privatezza, riscoprendo il proprio valore e importanza in una dimensione

comunitaria, l’anziano potrà far dono di tutto il suo valore, di scarsa o immensa utilità.

ANIMARE è svelare quel valore represso e negato, il valore dell’ESSERE, essere VIVI. []

ANIMATIVO è il modo in cui si opera nelle piccole cose e nei grandi progetti.

ANIMAZIONE è dove si mantiene una relazione, calda, affettiva e il desiderio di vivere e

gioire, tale da alleviare le difficoltà della convivenza in un luogo chiamato casa – facciamolo

sentire tale!” (Sardella, Terracino 1993).

Questo breve stralcio puntualizza un aspetto importante: animativo prima che il cosa si fa, è il

modo in cui lo si fa. Ecco perché non riguarda una specifica professione, ma coinvolge a

livello “globale” chiunque trascorra del tempo in R.s.a..

 

3.3 IL CONCETTO DI PERSONALIZZAZIONE

Altro argomento importantissimo, che come educatore ho sempre ritenuto fondamentale in un

contesto animativo, è quello dell’individualità: la vera qualità credo possa definirsi solo come

attenzione alla singolarità della persona.

La questione non è che ognuno debba rispondere da solo a tutti i bisogni della persona, ma

che ognuno sia attento alla persona nella sua totalità, nel suo ambiente e che si preoccupi che

tutto venga preso in considerazione.

Tale concetto evidentemente ha implicazioni enormi nella pratica quotidiana. Vuol dire infatti

conoscenza della storia di vita, non giudizio della persona, rispetto della libertà e della

capacità decisionale, rispetto dei tempi e delle abitudini, interventi diversificati e

personalizzati…

Di seguito vengono presi in considerazione alcuni di questi aspetti.

3.3.1 STORIA DI VITA LAVORO BIOGRAFICO

Le storie di vita dell’anziano sono il centro e la sorgente di ogni intervento, persino di

quelli che appartengono più specificamente al versante nosologico della qualità della cura.

Se è vero che la condizione senile si declina correttamente nel concetto di polipatologia, e

che di conseguenza ambiente, funzione, affetti e relazione contribuscono in modo paritario

alla complessità dello stato di salute, allora solo un’accurata ispezione del passato e del

presente del vecchio forniranno le dimensioni di una progettazione individualizzata della

relazione terapeutica, animativa e, perché no, educativa.

Gli interventi sia individuali che collettivi avranno una possibilità di successo solo se, oltre

ad essere mirati a “punti deboli” nell’esperienza vitale dell’anziano, come gli eventuali fattori

di rischio di perdita dell’autosufficienza, faranno leva anche sulle parti sane.” (Franchini

1999).

In tal senso si può affermare che la vera qualità non è quella misurabile e quantificabile con

numeri e statistiche (numero di attività svolte, numero di persone coinvolte…), bensì qualche

cosa di soggettivo, nel senso che va incontro alle esigenze del singolo, progettando, valutando

e cambiando azioni e strategie d’intervento. Credo quindi che il progetto educativo

individualizzato (PEI) possa essere definito come strumento di qualità, che integra il progetto

assistenziale che la struttura costruisce con e per l’anziano.

L’animazione globale. Lavorare con gli anziani nella quotidianità

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Considerare il passato vissuto dall’anziano come punto di partenza sul quale costruire un

percorso all’interno della struttura significa mettere al centro la persona e non la sua criticità,

intesa come malattia, deficit, mancanza… e questo implica un percorso di recupero della

memoria, anche dove questa è compromessa dalla malattia. La memoria è infatti la traccia

della storia dell’individuo che permette il mantenimento dell’identità e la collocazione

all’interno della famiglia, della comunità e della società.

Trabucchi afferma “chi non ha memoria non ha nemmeno la vita, [] la memoria porta con

sé dolore, peso, fatica, ma anche la speranza. Infatti il leggere la propria vita, i legami, gli

affetti che – duraturi o finiti – si sono realizzati indica una speranza possibile.” (Trabucchi

2001)

Lavorare con la storia e i racconti di vita è tanto più importante per chi si occupa di anziani

istituzionalizzati, in quanto essi vivono in un contesto ambientale ristretto che di per sé non

ricorda loro nulla, e nessuno all’interno conosce qualche cosa di loro.

Si potrebbe affermare quindi che questo tipo di lavoro costituisce uno strumento:

  1. Di conoscenza: l’operatore sa qualcosa in più della persona che ha di fronte e questo

può aiutarlo a considerarla veramente il centro dell’intervento, cioè può lavorare

partendo dalla persona, non più dalla patologia.

  1. Di animazione: essa deve provenire dalla vita delle persone, dalla biografia più

significativa, per diventare anche funzione educante della persona, in quanto

intenzionalmente volta a coinvolgerla nella quotidianità della propria vita. Conoscere

la storia diventa quindi base e fondamento per lavorare con l’anziano sia esso in grado

di ricordare il passato, ma anche, e forse di più, nel caso in cui non abbia memoria di

sé a causa della malattia. Per comprendere l’importanza della biografia in termini di

animazione globale, mi sembrano significative le parole di Gianni Rinoldi:

Quella biografia che ha lasciato le stigmate nella mente, nel cuore e nella sensibilità

della persona.

Quella biografia dunque che:

• E’ incontrare la persona interessata: incontrare per cominciare a conoscerla

ed a ri-conoscerla ogni giorno che passa.

• Incontrarla nei e con i suoi familiari

• Comprendere, intuire e leggere gli spazi nei quali si è nascosta la sua parte

migliore, il suo bene. [] E’ la scoperta dell’uomo che c’è e vive ancora, anche in chi

– demente – sembra non essere più nessuno.” (Rinoldi 2005).

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  1. Di ri-identificazione: l’anziano nel raccontarsi può essere stimolato a rivisitare il

passato, portare alla luce ciò che si era dimenticato, raggiungere una maggiore

consapevolezza di sé.

Spesso di fronte agli smarrimenti che l’istituto induce nell’anziano, il racconto di sé diviene

“ancoraggio” a uno dei tanti volti della propria identità; diviene desiderio di esserci, di

scoprirsi ancora “capaci di” per ritornare ad essere protagonisti, anche solo nel racconto. In

un luogo che non ha motivo di essere ricordato, [] avere la parola per ritornare a sé è

diventato un percorso “per fare anima” (Cima, Moreni, Soldati 2000).

E’ evidente che lavorare con le storie di vita delle persone può essere impegnativo e

difficoltoso, in quanto richiede tempo ed energie da dedicare all’anziano o ai familiari, ma è

sicuramente molto appagante perché permette di percepire chi ci sta di fronte come persona

viva nella sua unicità. Si fa così da specchio facendo sentire l’ anziano a propria volta vivo

dentro di sé (soprattutto utilizzando il metodo autobiografico del racconto) e nell’istituzione

(anche con la tecnica biografica)5.

3.3.2 LIBERTÀ DI SCELTA E EMPOWERMENT.

Un altro concetto fondamentale nel lavoro sociale, che ben si addice anche al lavoro in R.s.a.

è quello che considera “l’utente” non più come passivo fruitore di servizi offerti, ma come

protagonista attivo e capace di scelta. Nelle istituzioni, fortunatamente, nel corso degli ultimi

decenni è andata diffondendosi questa filosofia d’intervento che sposa il concetto di

empowerment, cioè “accrescere la possibilità dei singoli e dei gruppi di controllare

attivamente la propria vita”.

Credo che in questo concetto sia riassunta l’essenza dell’intervento sociale in R.s.a. Infatti

l’obiettivo ultimo dell’intervento potrebbe essere definito come un ri-potenziamento della

persona, aiutandola a utilizzare le risorse vitali e orientandola verso l’azione permettendole di

sperimentare la sensazione di essere ancora in grado di incidere efficacemente sulle situazioni.

Sensazione quest’ultima, che purtroppo nelle istituzioni, tende a venir meno a causa della

perdita oggettiva di autonomia e dell’organizzazione spesso fondata sui “protocolli operativi e

tecnici”.

5 Meriterebbe un approfondimento la differenziazione fra le due tecniche, per necessità definisco brevemente il

metodo autobiografico come quello che coglie la storia di vita attraverso il racconto dell’anziano in occasioni di

colloquio o di gruppo. E’ evidente che il racconto può essere parziale e non neutrale, perché il soggetto interpreta

i propri avvenimenti attraverso le emozioni passate e presenti. Il metodo biografico, utilizzato soprattutto nei casi

di assenza di memoria o incapacità di comunicazione verbale, rende esplicita la storia di vita grazie ai racconti

dei familiari o conoscenti o ai documenti raccolti.

L’animazione globale. Lavorare con gli anziani nella quotidianità

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Massimiliano Colombo (2005) sostiene, nel suo articolo, che l’aumento del livello di

empowerment di un anziano istituzionalizzato è una condizione per il miglioramento della

qualità di vita dello stesso. Di più, afferma che ciò può essere raggiunto se persone e ambiente

che gravitano attorno al residente sono essi stessi empowered cioè se hanno risorse vitali e

orientamenti tali da incidere efficacemente di fronte alle situazioni, animati dalla speranza.

Viceversa, spiega ancora Colombo, depowered è un soggetto che non può influenzare le

situazioni: è rassegnato. Nella pratica significa lavorare più sulle risorse che sulle mancanze6,

sulle parti sane piuttosto che su quelle malate, spostarsi al più presto dai bisogni ai desideri;

questo processo deve coinvolgere tutto il contesto comunitario, quindi il personale, ma anche

l’amministrazione. In particolare vengono individuate due vie per la sperimentazione

dell’empowerment:

– la concezione innovativa di relazione tra servizio e anziano, in cui la centralità non è il

bisogno, bensì la ricerca condivisa di nuove possibilità, l’ascolto dei desideri, l’apertura a

relazioni con altri soggetti (famiglia, servizi, volontari, comunità…).

– La pensabilità di nuove forme organizzative della vita quotidiana e dei servizi. Diverso

infatti è pensare, e di conseguenza organizzare, la R.s.a. come “casa privata dell’anziano”,

rispetto al considerarla un albergo, una “casa di cura”….

Adottare l’approccio dell’empowerment è evidentemente vantaggioso per l’anziano che si

sente valorizzato e percepisce una miglior qualità di vita, ma anche per il lavoratore che in tal

modo si sente motivato ad agire. Significative sono le parole di Antonio Censi (2004):

(l’empowerment)“ è un processo che, dal punto di vista di chi lo esperisce, significa «sentire

di avere potere» o «sentire di essere i grado di fare». Dal punto di vista di chi lo asseconda o

lo rende possibile, nel nostro caso gli educatori sociali, significa «un atteggiamento tecnico

capace di accrescere l’orientamento al fare delle persone»”.

Credo che la prospettiva dell’empowerment si addica molto bene al lavoro educativo e

animativo, in quanto “L’intervento socio-educativo con gli anziani ricoverati in una RSA

equivale non solo a ritagliare nell’ambiente sociale istituzionale spazi di vita in cui sia

possibile esplorare ed elaborare il senso della esperienza che si sta conducendo, ma

6 Nella pratica lavorativa ho cercato di lavorare e rendere visibili le risorse delle persone, un esempio è costituito

dal progetto “mostra artistica” che si trova in allegato 2.

L’animazione globale. Lavorare con gli anziani nella quotidianità

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comprende anche l’animazione (nel senso di dare un’anima, di attribuire un valore aggiunto)

di attività, relazioni, processi organizzativi che preesistono, ma che possono anche non avere

un’anima. In questa accezione l’intervento socio-educativo, prima che un’attività a fianco di

altre, è un sapore e un colore che, per lo più in modo intenzionale e metodico, può essere

aggiunto alle attività, alle relazioni, alle terapie mediche e alla stessa fisioterapia. Si può dire

che in una RSA c’è animazione se le persone che vi prendono parte esprimono e infondono,

nei modi più diversi, amore per la vita qui e ora, nonostante i dolori, le sconfitte, i lutti.

Nei contesti organizzativi in cui viene meno la capacità di scorgere nella persona anziana

non autosufficiente la persistenza di una progettualità umana che chiede riconoscimento,

spazio e sostegno l’animazione diventa una missione impossibile.” (Antonio Censi, 2004).

Particolarmente interessante in questo ambito mi sembra il concetto di capacitazione,

sviluppato in ambito geriatrico da Pietro Vigorelli7. Già il termine racchiude in sé due pilastri

del lavoro sociale: quello di “capacità” e quello di “azione”, che sono fra loro strettamente

correlati, infatti la capacità come “saper fare” è di per sé vuota se non si accompagna con

l’azione, e si acquisisce con un processo dinamico che porta all’azione.

In particolare l’autore propone un approccio alla persona anziana che non si focalizza sulle

funzioni perse, bensì su ciò che la persona è ancora in grado di fare e di dire. In particolare è

un intervento che ha come obiettivo quello di creare le condizioni per cui l’anziano in R.s.a.

possa svolgere ciò di cui è capace, senza sentirsi in errore, sentendosi felice perché realizza

ciò che per lui è importante, nel modo che lui desidera e che per lui è possibile nel contesto in

cui vive. (Vigorelli 2010). Questo perché il fine ultimo non è l’azione, qualsiasi essa sia, bensì

la felicità dell’anziano. In tal senso ritengo che questo approccio sia di fondamentale

importanza e applicabilità all’ambito animativo, dove non è importante tanto il risultato

dell’animazione bensì il processo che si è determinato in quel momento, cioè le relazioni

create, le sensazioni provate, l’esperienza fatta dalla persona.

L’autore, nella sua teorizzazione dell’approccio capacitante, puntualizza alcuni contenuti che

possono costituire la base di qualsiasi tipo di intervento, che di seguito vengono riportati.

Interessante anche la riflessione fatta nell’articolo a proposito di presa in carico dell’anziano.

“- la Capacitazione è un processo di sostegno allo sviluppo finalizzato all’autonomia dei

destinatari;

– l’autonomia dei destinatari degli interventi non è solo il fine, ma anche il mezzo per lo

sviluppo;

7 L’autore ha sviluppato tale approccio inizialmente come tecnica per relazionarsi al malato di Alzheimer, di cui

si è occupato in numerosi scritti e ricerche, poi si è reso conto che può essere utile in un campo molto più ampio,

cioè quello degli interventi diretti al benessere di tutte le persone anziane ricoverate in R.s.a. (Vigorelli 2010)

L’animazione globale. Lavorare con gli anziani nella quotidianità

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– l’azione è condizione indispensabile allo sviluppo delle capacità;

– non si e mai capaci (o incapaci) in assoluto, ma sempre in riferimento a un contesto di

possibilità

Come è facile osservare, in questa accezione del termine sono insiti alcuni concetti come

capacità, autonomia, processo e sviluppo che sembra siano inapplicabili o controproducenti

per la persona anziana, soprattutto se si tratta di un anziano con pluripatologie, disabilità,

deterioramento cognitivo e comunque destinato all’aggravarsi delle inabilità con il

progredire inesorabile del tempo e della vecchiaia.

Eppure credo che il termine vada adottato e possa avere numerose ricadute positive per la

cura della persona anziana; basti pensare che in ogni momento e di fronte a un qualsiasi

grado di disabilità chi cura può mettere in atto degli interventi capacitanti o, d’altra parte,

incapacitanti.

Infatti un eccesso di accudimento e il concetto stesso di presa in carico globale possono di

fatto tradursi in una incapacitazione.

Quando in una istituzione ogni decisione, ogni azione anche elementare è già programmata

dal contesto, per cui le azioni devono svolgersi in modo quasi automatico, le capacità

cognitive dell’anziano tendono ad eclissarsi le motivazioni ad agire tendono a spegnersi, la

persona tende a chiudersi e a isolarsi.

Anche se è irrealistico pensare a uno sviluppo delle capacità dell’anziano ricoverato in

R.s.a., è evidente che è preferibile mettere in atto degli interventi che vadano nella direzione

della capacitazione piuttosto che nella direzione opposta.” (Vigorelli 2006).

L’aspetto interessante dell’approccio capacitante, credo sia proprio il fatto che si realizza

direttamente nella relazione operatore e anziano, non richiede strumenti o ambienti particolari,

ma con un’adeguata sensibilizzazione e formazione, può essere messo in pratica da qualsiasi

professionista in qualsiasi momento. L’intervento infatti ribalta il punto di partenza, dal

“fare”, all’ “ascoltare”. Nella pratica lavorativa non ho mai trovato una proposta di attività che

sia accolta così bene come quella di ascolto sincero di ciò che il singolo esprime da dentro.

Ascolto che si trasforma in accoglienza e in percorso condiviso all’interno della R.s.a., base

cioè per qualsiasi attività con la persona.

Vigorelli individua sei elementi che concorrono alla capacitazione (Vigorelli 2006), che

portano in sé ognuno degli interessanti spunti di riflessione per l’educatore che si trova a

promuovere un approccio di attenzione globale alla persona:

– Il curante, inteso come tutti coloro che si prendono cura, indipendentemente dal ruolo.

Ne consegue che tutti possono apprendere uno stile relazionale capacitante.

L’animazione globale. Lavorare con gli anziani nella quotidianità

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– L’anziano, ogni residente ha caratteristiche, risorse, storie, capacità diverse dagli altri

e peculiari, quindi l’intervento con ogni singolo deve essere diverso e specifico per

ogni persona.

– Il contesto, sia organizzativo che strutturale, può essere cambiato affinché favorisca

l’attuazione di interventi capacitanti da parte dei curanti.

– L’intervento, non si tratta di far fare all’altro delle azioni che il curante decide siano

buone, bensì di accogliere con ascolto e osservazione ciò che l’anziano esprime (con

– tutti i canali possibili), riconoscerlo come protagonista e accompagnarlo nel suo

mondo possibile.

– L’obiettivo, non è la performance, l’esecuzione di un compito o il recupero delle

disabilità, bensì la felicità possibile dell’anziano nell’ambito di una relazione.

Personalmente trovo che l’approccio capacitante costituisca un valido strumento per entrare in

relazione con l’anziano e che comprenda in sé diversi spunti di riflessione che accompagnano

l’operare quotidiano dell’educatore in R.s.a. L’aver ben chiaro l’approccio capacitante, a

livello teorico oltre che operativo, può costituire la base per portare all’interno della struttura

quella “cultura” di attenzione globale alla persona, può stimolare tutti gli operatori ad

un’ottica diversa, sicuramente vantaggiosa per l’anziano residente, ma anche per il lavoratore

in termini di motivazion

 

CAPITOLO 4

L’ANIMAZIONE GLOBALE, INTERVENTO NELLA

CRITICITÀ

Premesso che ogni storia e ogni esperienza ha vita autonoma e pertanto si caratterizza con

sfumature ed elementi diversi, credo che ci siano dei momenti particolarmente critici per l’

anziano e per la struttura. Proprio in tali frangenti l’operatore, qualsiasi sia il suo ruolo,

dovrebbe essere più attento all’ascolto della persona nella sua complessità, e la cosiddetta

“animazione globale” dovrebbe essere maggiormente presente ed evidente.

Nel corso della mia esperienza professionale ho individuato il momento dell’ingresso in R.s.a

e quello della perdita delle autonomie, talvolta ri-perdita, come periodi particolarmente critici.

4.1 L’INGRESSO IN R.S.A.

Il momento dell’ingresso in R.s.a. pur presentandosi spesso per le famiglie come “ultima

spiaggia” dopo svariati tentativi di assistere la persona presso il domicilio, rimane un evento

estremamente delicato e critico sia per il singolo anziano sia per i suoi familiari. Infatti i

protagonisti si trovano a dover affrontare una serie di perdite non indifferenti: il distacco dai

propri cari, la perdita della propria casa e degli oggetti di una vita, la perdita di autonomia e di

salute, la perdita delle proprie abitudini e certezze…. Bisogna quindi affrontare una crisi, per

poter accettare una nuova situazione, per diventare capaci di vivere di nuovo. Ma tale

processo richiede l’elaborazione del lutto (in senso lato), che può durare poco tempo per le

piccole perdite, ma anche anni. Elisabeth Kubler – Ross ha individuato quattro fasi che

riassumono gli atteggiamenti dell’essere umano di fronte alle situazioni di crisi profonda e

perdita. Credo che tali atteggiamenti possano riassumere le reazioni dei nostri anziani (e dei

loro familiari) al momento dell’ingresso in R.s.a.. A volte un soggetto le attraversa tutte, a

volte ne vive solo una o qualch’una.

Di seguito vengono elencate le fasi vissute dagli anziani (K_bler – Ross1975).

  1. a) Lo choc, la negazione

L’animazione globale. Lavorare con gli anziani nella quotidianità

29

La prima reazione quando si apprende una notizia molto brutta, quando si subisce una

perdita, è lo choc, seguito immediatamente dalla negazione: «Non è vero», «non è possibile»,

«si sono sbagliati», «non posso crederci»…

Lo choc sarà tanto più intenso quanto più l’avvenimento sarà improvviso, imprevedibile. []

Allo stesso modo, il passaggio al pensionamento non avrà una risonanza tanto forte in chi

avrà avuto l’occasione di prepararvisi veramente. E lo stesso dicasi per l’ingresso in istituto.

Più è possibile anticipare un evento grave, cioè prevederlo, vederlo arrivare, meno forte sarà

lo choc. Qualche ora, qualche giorno dopo, la persona è ancora sotto choc, sa ciò che

succede ma non misura necessariamente tutte le conseguenze affettive ed emotive di questa

perdita. Tuttavia riesce a far fronte all’urgenza (preparare le esequie del coniuge morto), a

prendere in mano le cose, almeno in un primo tempo.

  1. b) Protesta, ribellione e collera

La protesta è del tutto comprensibile quando sopravviene un fatto che scombussola le «nostre

previsioni». L’individuo ha bisogno di esprimere la sua frustrazione e la sua collera.

In seguito al decesso di un essere molto caro, la persona ce l’ha con tutti: con i medici che

non hanno fatto tutto quello che avrebbero potuto fare (dal suo punto di vista), con coloro

che la vogliono consolare. Ce l’’ha anche con chi è morto perché l’ha lasciata sola…

Questa reazione si osserva anche negli anziani che sono entrati in istituto contro la loro

volontà. Ce l’hanno con i figli, con il personale, con gli amici che a volte vengono a trovarli…

Chi assiste dovrebbe essere in grado di fare da confidente, perché questa tappa è necessaria

affinché la persona possa liberare i suoi sentimenti.

  1. c) La tristezza, il dispiacere, la depressione

E’ l’espressione della sofferenza causata dalla perdita. Molti dipendenti di istituto hanno

osservato questo periodo di depressione nei nuovi ospiti. L’entusiasmo, o in sua assenza

l’agitazione, dei primi giorni lascia il posto alla noia, alla stanchezza, ai rimpianti… «Se

avessi saputo, non avrei mai acconsentito … ». Davanti a una situazione per cui nessuno può

far niente, la persona vive una fase difficile che spesso la spinge a chiudersi in se stessa. Non

ha «voglia di niente». Alcuni vivono una disperazione profonda che fa loro pensare perfino al

suicidio. La vita non ha più interesse.

In questa tappa la persona ha un enorme bisogno di sostegno, di affetto, di comprensione, per

non restare invischiata in questa fase di depressione.

L’animazione globale. Lavorare con gli anziani nella quotidianità

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  1. d) L’accettazione e l’adattamento

Le emozioni si sono potute esprimere, la persona comincia ad accettare la perdita. Non sarà

mai più come prima!

La persona assimila questa perdita, il dolore si attenua. Ritrova una certa energia, la

speranza rinasce. Prova di nuovo piacere a vivere, a incontrare amici, a dedicarsi a

un’attività… Accetta che i morti non torneranno in questo mondo, che probabilmente

trascorrerà il resto dei suoi giorni in un istituto. E’ accettare che invecchia, che si avvicina

alla sua stessa morte…

Ma accettare non è rassegnarsi, è piuttosto adattarsi a questa nuova situazione. «La

persona si organizza intorno a un nuovo stile di vita che le permette di vivere il presente,

d’investire in progetti futuri e anche di ricercare esperienze gratificanti.

Crescere, invecchiare, è dunque gestire le perdite che ci si trova davanti e insieme continuare

a fare progetti, a nutrire speranze…

Credo che il processo di elaborazione del lutto derivante dalle perdite connesse all’ingresso in

R.s.a. possa essere favorito dalla condivisione e adozione, all’interno della struttura, di

un’ottica “globale” nei confronti della persona.

“L’assistenza all’anziano fragile non è solo una vicenda clinica e scientifica, ma anche e

soprattutto una vicenda umana, di umani che si prendono cura di umani”. (Trabucchi).

Tale nuova prospettiva deve coinvolgere simultaneamente tutti gli attori coinvolti: il personale

della struttura qualsiasi sia il ruolo, la famiglia, i volontari… Guardare il nuovo residente e il

proprio caro in un’ottica globale significa non puntare l’attenzione sulle patologie e sulle

mancanze, bensì sulla persona con i propri interessi, abitudini, caratteristiche, storia… Da qui

si può partire per la costruzione di un contesto relazionale umano positivo, importantissimo

soprattutto nel momento iniziale in cui la persona si trova, suo malgrado, a dover affrontare

una crisi.

Interessante in proposito il concetto di autonomia strategica, che in psicologia evolutiva è

definita come il fattore che facilita la capacità di riorganizzare la propria vita in

corrispondenza di un punto di crisi, e che, in ambito geriatrico, può diventare la base per un

lavoro proficuo che mira al benessere della persona. Il fattore “autonomia strategica infatti

“affonda le sue radici nel patrimonio culturale dell’individuo nell’eredità del clima affettivo

nel quale ha trascorso le prime fasi della sua vita, ma anche e soprattutto nel sentimento di

radicamento in un habitat sociale e fisico che rafforza la sua identità spaziale.

Il radicamento dell’individuo in una nicchia sociale o fisica (comunque esterna) è dunque un

elemento fondamentale di identità che gioca pesantemente nella formazione dei

comportamenti di passaggio. [] E solo radicando l’anziano in una rete e in uno spazio ricco

di stimoli logico-affettivi si può sperare di rimettere in moto la capacità plastica dell’anziano

di ridefinire la propria situazione.

Concetti come quello di autonomia strategica possono aprire orizzonti nuovi nell’approccio

alle persone anziane non autosufficienti e nella cultura organizzativa dei servizi che se ne

fanno carico. In questa prospettiva le RSA non si configurerebbero più come luoghi destinati

esclusivamente all’erogazione di prestazioni mediche e riabilitative, ma potrebbero essere

concepite come luoghi che offrono ai residenti la nicchia fisica e sociale necessaria a

conservare la loro autonomia.” (Censi 2004).

E’ altresì vero che gli anziani non chiedono di essere curati e basta, ma di essere curati in

modo da esercitare (da soli o con l’aiuto di altri) il controllo della loro vita, anche solo

simbolicamente. “A questa conclusione sono giunte in anni recenti anche alcune scuole di

pensiero geriatrico, dopo aver preso atto che un miglioramento della qualità delle cure non

incrementa di per sé il benessere della persona. Occupatasi per anni quasi esclusivamente del

trattamento delle patologie dell’invecchiamento, la ricerca geriatrica è sempre più impegnata

ad ampliare i livelli di autonomia delle persone affette da malattie croniche.

Il modello di cura, se così lo vogliamo chiamare, deve saper coniugare gli aspetti umani con

quelli scientifici e clinici, nel rispetto delle compatibilità economiche.” (Censi 2004).

4.1.2 ALCUNE CONSIDERAZIONI E IMPLICAZIONI PRATICHE

L’operatore in R.s.a dunque deve considerare il momento dell’ingresso come cruciale per

costruire un rapporto e un progetto di vita positivo con l’anziano e la famiglia. Ritengo che il

primo impatto e il primo periodo di permanenza in struttura siano fondamentali e che ogni

operatore debba fare lo sforzo di andare verso una “presa in carico” globale della persona, o

meglio in questo caso oserei dire del nucleo familiare.

E’ importante, per l’educatore e la sua équipe investire tempo ed energie per rendere più

“umano” e attento da parte di tutti questo momento. Bisogna cioè far passare l’idea che sono

necessarie tante piccole attenzioni che mirano a creare un’atmosfera “casalinga” che faccia

sentire l’anziano come ospite atteso e desiderato (es. parlargli con calma e gentilezza, offrirgli

L’animazione globale. Lavorare con gli anziani nella quotidianità

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qualche cosa da bere, presentarsi, ascoltarlo…); inoltre è opportuno favorire da parte di tutti la

conoscenza della persona nuova partendo dalle notizie raccolte in sede di colloquio d’ingresso

(che deve naturalmente contenere le minime informazioni biografiche dell’anziano, oltre che

le capacità possedute).

L’accoglienza però non si conclude nei primi istanti dell’ingresso, ma deve proseguire

nell’arco del primo periodo di vita in R.s.a., ponendo estrema attenzione e ascolto a ciò che

l’anziano e la sua famiglia stanno veramente vivendo e provando.

Altra riflessione riguarda la personalizzazione della stanza come luogo di vita: l’attenzione

globale alla persona infatti passa anche attraverso il riconoscimento dell’ambiente come parte

integrante dell’identità dell’anziano (Dallari 2010). Infatti gli oggetti, soprattutto quelli

emotivamente carichi come foto, piccoli portafortuna, oggetti che rappresentano momenti

affettivi importanti… costituiscono a tutti gli effetti un prolungamento della personalità:

ognuno di noi si fa riconoscere anche attraverso ciò che lo circonda.8 Va aggiunto poi che gli

oggetti personali aiutano a dare un senso di integrità nei momenti di cambiamento degli eventi

esterni; aiutare l’anziano a trovare il giusto posto per le proprie cose nel nuovo ambiente,

significa aiutarlo a ripercorrere le tappe della vita, raccogliendone i ricordi, le emozioni e le

risorse affettive ad esse associate. (Censi 2004). In tal senso, se il momento dell’ingresso in

R.s.a. costituisce una crisi e una perdita di identità, a maggior ragione è doveroso lavorare

sulla personalizzazione dell’ambiente per ridurre o mitigare tale difficoltà.

“ … pensiamo che nell’istituzione sarà compiuto un grande passo quando il “cliente” potrà

almeno piantare un chiodo nel muro della propria camera; in altre parole, quando questa

sarà considerata una sorta di domicilio, un posto ove egli possa decidere sia il posto degli

oggetti sia il contenuto dell’armadio, una zona in cui non si entri senza avere il riflesso

istintivo di bussare alla porta, quale sia il grado di non autosufficienza o di confusione

mentale dell’occupante.” (Ploton 2003).

In R.s.a. un ulteriore elemento critico che merita, da parte del personale, una riflessione è

quello della mancanza di spazi privati. Spesso è causa di sofferenza per l’anziano, in quanto la

convivenza forzata in luoghi comuni (camera, soggiorni, saloni) non riguarda solo gli spazi,

ma implica una con-divisione di spazi psicologici, quindi anche abitudini, situazioni critiche e

sofferenze. Merita una riflessione il concetto di privacy; infatti se è vero che nella nostra

8 Gli oggetti assolvono una funzione insostituibile per la memoria di sé e per il mantenimento della continuità

temporale: ricordano i momenti significativi della vita e costituiscono un legame con il passato. Danno inoltre

“visibilità”: un soggetto è socialmente invisibile se astratto dal proprio ambiente di vita (inteso come luogo e

come oggetti).

L’animazione globale. Lavorare con gli anziani nella quotidianità

33

società tale bisogno è sempre maggiore, è presumibile che anche i nuovi residenti lo

esprimano sempre con maggior forza.

L’attenzione globale alla persona suggerirebbe in questo ambito quindi una maggior

accortezza nel rispetto degli spazi vissuti dall’anziano, sia nella quotidianità: bussare e

chiedere permesso prima di entrare nella stanza, permettere sempre di chiudere la porta della

stanza… ma anche a livello istituzionale, con la predisposizione di stanze singole e di spazi

riservati e personalizzabili oltre alle sale comuni.

 

 

 

Teoria dell’attività: tende a proporre forme di impegno costante per aiutare l’anziano a

non percepire il senso di inutilità.

Teoria della continuità: mira a mantenere il più possibile le abitudini di tutta la vita a

livello lavorativo, del tempo libero, dell’affettività ecc…per preservare una condizione di

benessere.

Teoria del disimpegno: tende a impiegare l’anziano il meno possibile, dato che le sue

energie sono in diminuzione.

Credo che nessuna di queste teorie possa ritenersi univoca, ma l’integrazione di esse porti ad

un’ottica di “globalità” nell’animazione

 

 

LE ATTIVTÀ POSSONO ESSERE ANIMAZIONE GLOBALE

Nel “fare” attività si può adottare un approccio “globale”, ritenendo importanti alcuni principi

fondamentali riassumibili in concetti chiave:

  1. L’animazione lavora CON e PER gli anziani, mai SU di loro. Questo concetto, già

esplicitato in precedenza, nell’ambito delle attività animative implica una costruzione

condivisa delle stesse, proprio a partire dai desideri, richieste e volontà del singolo o del

gruppo di residenti. Proposte che possono essere più o meno esplicite, nel senso che possono

emergere come delle richieste al personale, ma anche come desideri e attese che traspaiono

dal dialogo profondo oppure come attività spontanee fra ospiti che necessitano di essere

valorizzate e sviluppate.

  1. Gli anziani sono PERSONE ADULTE. Sembra un’affermazione banale, ma credo che

non sia poi molto scontata nell’operare quotidiano in R.s.a., in quanto, soprattutto per ciò che

riguarda l’approccio relazionale, si può cadere nell’errore di considerarli “bambini” (es. uso di

un linguaggio infantile) o addirittura numeri (es. freddezza clinica). Questo principio porta ad

una riflessione intorno ai diritti. Innanzitutto bisogna riconoscere il diritto alla libertà, intesa

come la possibilità riconosciuta di scegliere in che modo trascorrere le giornate, curarsi,

comportarsi… In seconda istanza il diritto alla dignità, come rispetto della persona nella sua

corporeità, tempi e abitudini senza pregiudizi e derisioni. Infine il diritto al piacere (nei suoi

molteplici aspetti, quindi anche fisico) come elemento importante e fondamentale per la

felicità personale.

  1. L’animazione non deve fornire SERVIZI, ma STIMOLI agli anziani protagonisti del

loro tempo. Il ruolo dell’animatore non è quello di organizzare eventi, bensì di motivare e

stimolare con modalità diverse l’interesse e le capacità sopite nell’anziano, facendo il

possibile affinché lo stesso sia protagonista attivo nel teatro dell’animazione. Le attività non

vanno scelte a priori, ma pensate il più possibile con gli anziani, a partire dalle loro proposte.9

9 In tal senso si sta muovendo anche un nuovo modello di “qualità”, che considera positivamente il fatto che le

proposte animative siano suggerite dagli ospiti. Come educatore, trovandomi nel 2009 a lavorare anche sulla

qualità, ho cercato di introdurre nell’équipe sociale un nuovo metodo di progettazione delle attività che mettesse

per iscritto proprio il nome delle persone che hanno dato l’imput alla strutturazione delle stesse. Si veda allegato

n°1.

L’animazione globale. Lavorare con gli anziani nella quotidianità

38

Inoltre l’attività costituisce una possibile proposta, cui l’anziano può decidere di aderire

oppure no.

  1. L’animazione agisce sul CONTESTO, cioè promuove cambiamenti rendendo stimolante

e partecipe l’ambiente fisico (il luogo può promuovere benessere), ma soprattutto quello

relazionale. Si deve creare scambio e interazione fra i soggetti presenti in struttura e con le

realtà esterne attraverso collaborazioni e collegamenti con associazioni e gruppi di persone a

vario titolo vicine ai residenti.

  1. Nell’animazione l’importante è IL PROCESSO non il risultato. Ogni attività assume

senso e significato in sé, per ciò che genera nel momento in cui viene svolta. Non sono poi

così importanti i risultati finali, ciò che si è materialmente fatto (es. il bel lavoretto), ma ciò

che lo stare insieme, il fare, l’essere ascoltati e considerati ha prodotto.

  1. L’anziano ha bisogno anche di RIPOSO. Spesso l’animazione viene percepita come un

continuo “fare”, per riempire il tempo, per occupare, per stimolare la persona, ma non bisogna

dimenticare che l’anziano, più di ogni essere umano ha diritto e bisogno di riposarsi. Non è

infrequente infatti sentire ripetere dagli anziani “ho lavorato tutta la vita, ora non voglio

proprio fare niente!!”. Va rispettata la volontà di non agire, evitando quella sorta di

“accanimento di animazione”, che talvolta è presente nella testa di alcuni familiari e del

personale. Per i primi può trattarsi di una difesa dai propri sensi di colpa, visto che

immaginare e vedere il proprio caro che agisce facendo delle cose (considerate) divertenti può

essere sicuramente meno impattante, che non vederlo fermo e inoperoso. 10

Tra l’altro non va dimenticato che mentre personale e familiari rimangono in R.s.a. per brevi

periodi di tempo, per gli anziani quello è luogo di vita, quindi anche di riflessione e ascolto di

sé, indispensabile tra l’altro per l’identità che va ri-definita in un mutato contesto sociale e

ambientale. La difficoltà per chi si occupa di animazione credo sia proprio quella di

individuare la sottile linea che separa l’inattività voluta e positiva dall’apatia dovuta alla noia,

alla progressiva “morte sociale” e alla carenza di stimoli o relazioni.

  1. Animare significa lavorare per PROGETTI. Con tale termine non si intendono rigidi

programmi prestabiliti, bensì l’avere ben chiaro le motivazioni per cui si propone una o l’altra

10 “Muovono spesso critiche le “sale d’ingresso” dove stanno seduti ospiti immobili e spesso muti, ma se

andiamo a esaminare fino in fondo, sono davvero così passivi? Probabilmente se rimangono ostinatamente lì è

perché c’è molto da vedere e da sentire.”(Pichaud, Thareau 2000)

 

 

  • L’animatore: “essere” per “aiutare ad essere”.

 La frase sopra citata può facilmente essere ricondotta sia al lavoro e all’essere dell’animatore, sia al mondo degli anziani. Secondo Jung, prendere coscienza di se stessi è sinonimo di evoluzione della propria personalità: durante tale trasformazione, la coscienza dei singoli non è più schiava dell’io, ma si rende partecipe del mondo circostante.

In parole povere, quindi, lo sviluppo e la realizzazione della persona equivalgono alla formazione della personalità e al raggiungimento della maturità interiore.

L’anziano, per esempio, abituato durante tutta la vita a pensare a se stesso in termini di rendimento nei confronti della società, si trova all’improvviso a non potere più contare sulle capacità ritenute importanti durante l’attività lavorativa.

Da ciò può nascere smarrimento, delusione e rinuncia; tuttavia, si potrebbe interpretare la perdita di alcune capacità solo come possibilità di rimettersi in gioco e rinascita verso un altro essere.

Invecchiare diventa, perciò, un modo per crescere: “avere o essere” diventa, così, la scelta da compiere, un modo nuovo di vivere ed agire.

Dove si colloca, allora, in tale discorso, la figura dell’animatore? Chi abbia avuto modo di entrare in contatto col mondo della terza età può facilmente rendersi conto delle difficoltà che si incontrano, volendo in qualche modo aiutare l’anziano a riscoprire se stesso. Paradossalmente, accade che l’animatore venga a provare in prima persona, seppure con altre motivazioni di fondo, il senso di frustrazione che tocca da vicino l’anziano.

Essere animatori significa, allora, esprimere, (vale a dire “spremere fuori”, “tirare fuori” da sé), ciò che si ha e ciò che si è; occorre essere coscienti del fine del proprio operato, e non solo possedere la conoscenza di diverse tecniche, e comunicare in modo equilibrato, essendo sempre al servizio degli altri.

Se un animatore si limita ad avere una mera conoscenza, seppure approfondita, di diverse tecniche, non mette in gioco nulla che faccia parte di sé e della propria personalità; se riesce, invece, ad essere, può anche comunicare.

Nelle Case di Riposo, in particolare, è essenziale per le persone anziane sentirsi accolti e ascoltati; l’intervento animativo comincia da qui.

L’anziano ha il diritto – dovere di essere se stesso: l’animatore può incominciare una relazione d’aiuto prima di tutto riflettendo su di sé ed entrando in sintonia con i propri fini; solo in una prospettiva di profonda comprensione e rispetto della condizione di “ospite” è possibile iniziare una comunicazione e intraprendere un cammino.

 

·        Quale ruolo per l’animatore?

Se essere anziani può voler dire perdere memoria, progettualità, diversificazione e complessità di ruoli, (tutti fattori che aumentano la qualità della vita), purtroppo, spesso, l’entrata in Casa di Riposo peggiora questo stato di cose.

L’ideale sarebbe che la persona stessa si attivasse per meglio conoscersi, in un processo di ricerca che promuovesse l’impegno a trovare un ruolo nella propria vecchiaia; molti, avendo investito tutto il proprio essere per dare il massimo nelle altre stagioni della vita, si trovano, invece, impreparati di fronte alla senilità e alla frequente perdita d’indipendenza che porta al ricovero in istituto.

Può l’animatore operare per mitigare o, forse, evitare tale stato di cose?

Molto spesso, il ruolo di coloro cui è affidato tale settore in Istituto non è ben chiaro, proprio perché va al di là di una facile interpretazione estesa solo al “visibile”. L’animatore dovrebbe possedere la capacità di leggere i bisogni all’interno dell’istituzione, la quale li leggerà a sua volta. Il rischio, spesso, è invece quello di dare risposte stereotipate a bisogni solo presunti e non realmente verificati; si potrebbe, allora, dire che l’animatore “anima soprattutto i bisogni”.

Egli, inoltre, introduce una grande novità nell’ambito lavorativo: l’affettività.

 Il fatto che l’affettività sia il vero metodo rappresenta sicuramente una sfida, ma è l’unico modo per partire da un istituto e ottenere una “casa”. RESIDENZA EMOTIVA

Tra i passi da compiere per arrivare a questo traguardo deve porsi una scomposizione dei momenti istituzionali, che devono poi ricomporsi, tramite l’intervento degli ospiti stessi della struttura.

·        Operazioni preliminari

 

Alcuni cardini su cui l’animatore deve impostare il proprio operato sono i seguenti:

  • Non si lavora per diminuire la malattia, ma per aumentare la salute, tramite la socializzazione, il recupero delle capacità dei singoli e l’incremento delle possibilità di ognuno, nel rispetto delle individualità e evitando l’imposizione delle attività.
  • Non bisogna tanto possedere tecniche, quanto avere “competenze” (“competere” = lavorare insieme), vale a dire interagire con gli ospiti e rispondere ai loro reali bisogni.
  • E’ fondamentale l’opera di collaborazione e di mediazione con l’amministrazione della struttura; in tale prestazione, può anche accadere che egli diventi una figura conflittuale, ma, d’altra parte, il conflitto implica cambiamento. Date tali premesse, si può ora configurare, nella pratica, quali debbano essere le operazioni da svolgere nel momento in cui la figura professionale dell’animatore entri a far parte dell’organico.

·         Analisi della situazione.

Si possono verificare tre differenti evenienze:

  1. Nella struttura in cui l’animatore si trova a lavorare, non è mai esistita, prima d’allora, la sua figura professionale.
  2. Il professionista sostituisce o collabora con un collega già operante.
  3. Egli deve iniziare il proprio lavoro in una Casa di Riposo di nuova apertura.

Per procedere alla stesura di un programma vero e proprio di animazione, sarà, quindi, necessario procedere all’analisi dell’istituto in cui si opera: oltre a verificare ciò di cui sopra, occorrerà fare una visita preliminare, per conoscere il tipo di struttura, la disposizione dei locali, la composizione del personale, la tipologia degli ospiti ricoverati e lo  schema di una loro giornata tipo.

Sarà, poi, di fondamentale importanza, convocare un incontro preliminare con le altre figure professionali, in modo da rendere chiaro a tutti il ruolo dell’animatore e la sua professionalità, impostare la possibilità di un lavoro di équipe e specificare gli eventuali dubbi, o annotare idee e impressioni: chiarendo, fin dall’inizio, il tipo di lavoro che s’intende svolgere e sottolineando l’importante ruolo della collaborazione tra i dipendenti, si potrebbe rendere più semplice l’attuazione del servizio.

 

Riassumendo, l’analisi della situazione deve prevedere i punti seguenti:

  • Analisi dell’ambiente in cui si opera: istituzione, ambito geografico, ambito strutturale.
  • Possibili relazioni con altri ambienti del territorio.
  • Valutazione di capacità e possibilità dell’équipe di lavoro.
  • Valutazione dei fini da raggiungere.
  • Possibilità economiche.
  • Valutazione dei singoli e del gruppo di lavoro.

·        La progettazione dell’intervento.

Si è visto come la definizione del lavoro dell’animatore sia piena di sfaccettature: questo perché egli, fondamentalmente, è un progettatore e un rielaboratore di interventi, in continua evoluzione; egli sa “connettere”, e proprio per questo la sua opera è inscindibile da quella delle altre figure.

La progettualità all’interno della struttura è fondamentale: ci vuole il consenso– appoggio della direzione per chiedere agli altri operatori di entrare a far parte del processo animativo. L’animatore non deve essere circoscritto o addirittura confinato nel proprio ruolo, perché, in tal modo, il suo lavoro diventa inutile: gli anziani hanno bisogno di una stimolazione a 360°.

Non sarà, poi, importante dove si arriverà, ma come sarà impostato il cammino.

La progettazione vera e propria verrà a coinvolgere non solo la struttura e le figure in essa operanti, ma fin dall’inizio dovrà prevedere il coinvolgimento del territorio: sarebbe buona cosa prendere contatto con le associazioni presenti nella zona e, possibilmente, conoscere la realtà delle varie scuole, stando però attenti a non “spaventare” questi possibili volontari o collaboratori con richieste impossibili, ma anche chiarendo la serietà della decisione di occuparsi del mondo degli anziani. In sostanza, si potranno fissare orari e momenti più o meno strutturati, a seconda della loro disponibilità.

Un’altra annotazione riguarda l’atteggiamento da tenere durante tutto il lavoro di animazione: il migliore progetto diventerebbe carta straccia se intendessimo seguirlo sempre alla lettera, senza compensarlo con l’osservazione di ciò che accade giornalmente.

Un animatore necessita di grande sensibilità ed empatia: non basta decidere come agire all’inizio, bisogna sempre avere il coraggio di autovalutarsi, eventualmente rivedendo le proprie opinioni, verificando periodicamente i risultati che si ottengono, senza cadere in un atteggiamento di onnipotenza e pensando, quindi, di poter lavorare in completa solitudine; ciò potrebbe portare addirittura l’animatore ad entrare in “corto circuito” e a “bruciarsi” prima di avere iniziato un lavoro sufficientemente buono.

·        Conoscere l’ospite.

Nel momento in cui avviene l’incontro con l’ospite, bisognerà avvicinarsi ad esso con umiltà, cercando di rompere quella sottile barriera o il disorientamento che lo prende all’entrata in istituto. Una scusa per un primo colloquio può essere la compilazione della “SCHEDA DELL’OSPITE” ; la raccolta dei dati ha, come risultato, di conoscere la persona anziana sia anagraficamente, sia sotto il profilo psicofisico, sia da un punto di vista più strettamente animativo.

Nel caso in cui alcuni problemi fisici o mentali impediscano all’ospite una facile comunicazione, saranno coinvolti nella compilazione i suoi parenti o conoscenti: essi stessi possono rappresentare un prezioso punto di riferimento per meglio conoscerlo ed, eventualmente, sostenerlo od aiutarlo, per quello che compete all’animatore. Alcune parti della scheda prevedono, poi, un incontro con le figure del settore medico, infermieristico e fisioterapico, che possono fornire dati importanti sulla situazione sanitaria dell’anziano.

Una volta impostato questo tipo di lavoro, lo schedario rimarrà sempre aperto, visto che debbono essere previsti continui aggiornamenti e valutazioni, da effettuarsi periodicamente. Un lavoro di questo tipo permette di rendere conto con più facilità dei progressi o degli svantaggi di ogni persona, anche nell’ottica di incontri con il resto delle figure professionali (un’altra voce da inserire nella scheda potrebbe infatti essere “Collaborazioni interprofessionali”).

Occorre, infine, fare un’ulteriore precisazione: nel caso, sempre più frequente, in cui si abbia a che fare con anziani non autosufficienti, e nell’ottica della collaborazione interprofessionale, potrebbe essere di aiuto, nella valutazione delle capacità residue dell’ospite, la diagnosi funzionale, con la compilazione di una scala di valutazione del comportamento (adattata agli anziani), in cui si potrebbe coinvolgere anche il resto del personale, visto che può essere di ausilio per la valutazione dei progressi ottenuti e per approfondire la conoscenza della persona.

Mi si permetta, a questo punto, una considerazione personale: accade spesso, nelle Case di Riposo, che l’ospite sia trattato come un paziente, un numero, un… “oggetto”, le cui necessità sono di essere nutrito, lavato, curato delle patologie di cui soffre. Così facendo, però, spesso, ci si dimentica di avere a che fare con una persona, che ha avuto una vita piena di esperienze, belle e brutte, e che non solo ha il diritto di essere trattato come un essere umano, ma che può anche insegnare qualcosa, pure in presenza di condizioni fisiche e mentali non più ottimali.

Ecco perché potrebbe essere utile, in qualche modo, “costringere” gli altri operatori ad osservarlo e considerarlo da questo punto di vista.

·        La stesura del programma.

Una volta impostato il lavoro di approfondimento della conoscenza degli ospiti, si passerà a uno schema di progettazione vero e proprio, che prevede una scansione della giornata e una più ampia visione sulla settimana e sul mese lavorativo.

Le attività possibili sono molteplici e possono essere raggruppate, a grandi linee, come segue:

  • Attività di stimolazione sensoriale: comprendono l’ampio campo dei laboratori manuali e creativi, con uso di tecniche e materiali diversi (costruzioni, manipolazioni con materiali e tecniche diversi, cucito, laboratori di cucina, giardinaggio, ecc.).
  • Attività grafico-pittoriche: possono collegarsi alle attività di stimolazione sensoriale e comprendono l’uso di vari tipi di colore e supporti. Potrebbe essere una buona idea dividere gli ospiti in gruppi, a seconda delle loro predisposizioni, ed utilizzare il lavoro di ogni gruppo per costituire un unico prodotto finale.
  • Attività musicali: ad esempio, ascolto di musica, (come da richieste degli ospiti), canto, costruzione di semplici strumenti musicali, giochi musicali, ecc.
  • Attività legate all’immagine: uso della fotografia; visione di diapositive o videocassette.
  • Attività di lettura: comprendono la lettura collettiva del quotidiano o del libro, scelto insieme.
  • Attività centrate sul corpo: ginnastica e psicomotricità (eventualmente in collaborazione col settore fisioterapico); giochi di squadra, tornei, ecc.
  • Attività di festa: con tale termine si possono riassumere i momenti gioiosi, quali le feste a tema, la festa dei compleanni, ecc.
  • Attività rivolte all’esterno della struttura: possono riguardare, per esempio, i lavori svolti in collaborazione con il territorio (la scuola e i bambini, ecc.), le uscite (il mercato…), le gite, gli incontri con altre strutture simili o le scuole, ecc.

Molte di queste attività possono essere raggruppate nella stesura di un giornalino, che consente la partecipazione di coloro i quali, per problemi fisici, non possono esprimersi in attività prettamente manuali o, in generale, coinvolgenti la loro fisicità: attraverso la raccolta dei loro ricordi, esperienze di vita, ecc., anche queste persone potranno dare un contributo e sentire di esprimere delle capacità.

Inoltre, potranno essere compresi nel giornalino i disegni di altri anziani, il racconto di uscite o feste, un calendario delle attività future, articoli da parte degli ospiti stessi, di loro familiari o di altre figure operanti in struttura o esterne, ecc.

A questi gruppi di attività andrà aggiunto, molto probabilmente, il giro camere: con ciò, si intende l’incontro con gli ospiti costretti temporaneamente o stabilmente nella propria camera: è un momento molto importante, sia per meglio conoscere le persone che, per vari motivi, non possono raggiungere il resto del gruppo, sia per ideare un programma di animazione personalizzato, specialmente nel caso di chi sia costantemente costretto a letto.

La stesura particolareggiata del programma sarà, naturalmente, effettuata personalizzando le attività sull’ambiente operativo e andrà plasmata su quelli che sono i desideri degli ospiti e le loro inclinazioni.

Non andrà mai abbastanza ripetuto, infatti, come l’animatore non debba mai imporsi alle persone a cui si dedica, ma, anzi, sia suo preciso dovere dare all’anziano la possibilità d’essere protagonista della propria esistenza e la capacità di ridefinire un proprio ruolo.

·         La predisposizione degli strumenti di verifica

La realizzazione di un programma non può prescindere da una verifica costante dei risultati ottenuti: durante lo svolgimento dell’attività, essa permette modifiche e cambiamenti che riequilibrino la situazione, nel caso in cui sia necessario, evidenziando difficoltà e problematiche.

Al termine dell’attività, una verifica consente una valutazione e permette il confronto tra le eventuali aspettative iniziali e gli effettivi risultati raggiunti; inoltre, l’analisi di ciò che è accaduto può dare l’avvio a nuovi spunti ed idee. Dalla verifica, nasce, quindi, la riprogrammazione.

Quali possono essere, allora, gli strumenti che facilitino la raccolta dei dati di verifica? Non è molto facile riuscire a elaborare un sistema valido, visto che, spesso, il giudizio su ciò che è stato realizzato nasce dalla sensibilità stessa dell’animatore. E’ per questo che, ancora una volta, il confronto con gli altri professionisti operanti nella struttura può facilitare il commento alle attività.

Inoltre, dopo vari anni di esperienza, la sottoscritta ha elaborato alcuni possibili supporti, basati su un semplice schema di osservazione del tipo di partecipazione dell’ospite all’attività; l’anziano può apparire:

  • Partecipe: egli segue con partecipazione e attenzione i lavori, e/o interviene più o meno attivamente nel gruppo;
  • Partecipe distratto: egli si dimostra abbastanza interessato e partecipe, nonostante ci siano momenti in cui la sua attenzione si rivolge altrove (è, tuttavia, da sottolineare che l’animatore deve sempre tenere presente che l’anziano difficilmente riesce a concentrarsi su un’attività per lungo tempo);
  • Osservatore: l’ospite non interviene direttamente e non contribuisce attivamente all’arricchimento dell’attività, ma dimostra un certo interesse;
  • Indifferente: è questo il caso di chi preferisce fare altro, senza per questo osteggiare lo svolgimento dei lavori e la partecipazione altrui;
  • Ostile: da esperienza, si è visto come sia possibile constatare, in alcuni anziani, atteggiamenti decisamente ostili nei confronti dell’attività proposta: starà, allora, all’animatore comprendere i motivi di un tale rifiuto e decidere come agire in proposito;
  • Assente: l’ospite, a causa di patologie (ad esempio, demenza senile) non è in grado di partecipare, né comprendere ciò che accade intorno a lui.

 

Periodicamente, anche a seconda della disponibilità di tempo dell’animatore, questo tipo di osservazione sarà completato e supportato dalla constatazione del numero di presenze all’attività (esse possono comunque essere influenzate da malattie, uscite o degenze al di fuori della struttura, quindi di ciò bisogna sempre tenere conto), e dal tipo di socializzazione dimostrata (buona, discreta, sufficiente o nulla; con evoluzione positiva, in decremento o costante). Saranno anche visualizzate eventuali collaborazioni ed aiuti da parte di altri ospiti, di familiari o del personale; sarà anche utile riassumere i problemi incontrati ed eventuali strategie di animazione individuale, a breve, medio o lungo termine.

Questa osservazione particolareggiata potrà anche essere supportata dalla compilazione di un Diario settimanale, che permette di riassumere brevemente le attività giornaliere e di fare un consuntivo del lavoro settimanale, dando modo all’animatore di riflettere, in generale, sull’andamento del proprio intervento, segnalando, anche qui, problemi ed idee.

Come si può notare, in tutta questa opera di verifica, è sempre sottolineata l’importanza non solo di un intervento altamente professionale e personalizzato, ma anche e soprattutto il grande lavoro di riflessione su se stessi ed il proprio operato: non sempre è facile ritagliare momenti, durante il lavoro, in cui fermarsi a considerare ciò che si sta facendo, ma non si può non comprendere come la mancanza dei momenti di verifica ed autovalutazione possa inficiare seriamente il complesso dell’intervento.

 

Prima di programmare un intervento di educazione-animazione in casa di riposo o in un centro diurno, occorre conoscere ciò che si ha a disposizione:

  • La materia:gli spazi disponibili, l’eventuale budget a disposizione, i materiali, eccetera.
  • Le persone: il numero degli ospiti, le loro caratteristiche, le patologie principali, le predisposizioni personali, i punti di forza e di debolezza, eccetera.

Per realizzare il proprio intervento, è necessario compilare le schede degli ospiti (vedi settore Schede), e predisporre gli strumenti di programmazione e di verifica.

Dopo aver ben chiarito questo, occorre considerare il numero di ore lavorative a disposizione; è scontato affermare che un intervento con 50 anziani per 10 ore settimanali sia ben diverso da un intervento con lo stesso numero di ospiti, ma in 30 ore!

Il calendario dell’intervento.

All’inizio del progetto, predisponiamo un calendario dell’intervento, considerando i giorni della settimana e gli orari in cui desideriamo proporre le attività.

ESEMPIO di programmazione per un totale di 9 ore lavorative distribuite in tre mattinate.

Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì Sabato
9 -12 9 -12 9 -12

ESEMPIO di programmazione per un totale di 18 ore lavorative distribuite in sei mattinate.

Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì Sabato
9 -12 9 -12 9 -12 9 -12 9 -12 9 -12

Distribuire il proprio orario di lavoro tra le mattinate e i pomeriggi non deve essere casuale; occorre considerare diverse variabili, quali gli orari dei pasti, l’alzata degli ospiti, eccetera, tenendo ben presente che serviranno momenti in cui predisporre gli interventi, e quindi ore nelle quali non sarà necessario avere a che fare direttamente con l’ospite.

Predisporre le attività.

Dopo aver vagliato le esigenze e le caratteristiche degli ospiti, è ora di passare a concretizzare il progetto. Per l’elenco delle attività possibili, rimando alla sezione Attività.

Vi chiederete: “quanto tempo deve durare ogni attività?”

Molto dipende dalla vostra esperienza, dalla tipologia di ospiti con cui avete a che fare, dall’…. l’imponderabile! Sì, non è il caso di scoraggiarvi, ma sappiate che ci saranno giornate in cui, per esempio,  la lettura del quotidiano e i commenti ad essa collegati dureranno anche tre quarti d’ora, altre volte in cui dopo 15 minuti capirete che la cosa non interessa più a nessuno!

Questa è la parte più difficile del nostro lavoro: occorre saper essere elastici, modificare il proprio atteggiamento a seconda dell’atmosfera che percepite, distinguere tra un giusto stimolo alla partecipazione e costrizione (sbagliatissimo!).

Per darvi modo di programmare un intervento corretto, considerate di occupare circa un’ora per le attività principali, periodo in cui potrebbe essere compresa anche la preparazione e la conclusione del lavoro.

Altra domanda possibile: “Quali sono le attività che non possono mancare?”

Io ho sempre considerato fondamentale il pensiero che ho di fronte persone adulte, forse con problemi importanti,ma adulti! Non sono bambini a cui proporre giochi, appunto, infantili! 

Esempio di programmazione settimanale in un reparto normale di casa di riposo

MATTINO POMERIGGIO
Lunedì Lettura del quotidiano

Tombola

 

Laboratorio creativo

Giro camere

Martedì Lettura del quotidiano

Ginnastica di gruppo

Laboratorio creativo

 

Laboratorio di enigmistica

Uscita (nella bella stagione)

Giro camere

Mercoledì Lettura del quotidiano

Elaborazione del Giornalino

 

Laboratorio di lettura

Giro camere

Giovedì Lettura del quotidiano

Lab. ludico-sensoriale

Uscita (nella bella stagione)

 

Laboratorio video

Giro camere

Venerdì Lettura del quotidiano

Ginnastica di gruppo

Laboratorio musicale

 

Laboratorio di pittura

Uscita (nella bella stagione)

Giro camere

Sabato Lettura del quotidiano

Incontri individuali

RICEVIMENTO PARENTI

Giro camere

 

Festa dei compleanni

(una volta al mese)

Domenica  Periodicamente: Festa

Al termine di ogni mattinata e di ogni pomeriggio è prevista la compilazione del diario giornaliero. Ogni giorno va ritagliato del tempo per la programmazione e la preparazione delle varie attività, possibilmente sempre negli stessi momenti, di solito i più tranquilli (per esempio, all’inizio del pomeriggio).

Oltre alle attività esposte, possono essere previsti altri momenti quali:

  • Attività religiose
  • Parrucchiera

Esempio di programmazione settimanale in un reparto protetto di casa di riposo

MATTINO POMERIGGIO
Lunedì Lettura del quotidiano – ROT informale – Conversazione guidata

Laboratorio di pittura

Laboratorio ludico/sensoriale
Martedì Lettura del quotidiano – ROT informale – Conversazione guidata

Laboratorio musicale

Giochi di stimolazione mnemonica

 

Mercoledì Lettura del quotidiano – ROT informale – Conversazione guidata

S. Messa

 

Attività di rilassamento

 

Giovedì Lettura del quotidiano – ROT informale – Conversazione guidata

Ascolto di musica -Laboratorio creativo-sensoriale / Uscita al mercato (nella bella stagione)

 

Lettura del libro

Ginnastica di gruppo

 

Venerdì Lettura del quotidiano – ROT informale – Conversazione guidata

Laboratorio ludico – Tombola

 

Laboratorio creativo / Festa
Sabato Lettura del quotidiano – ROT informale – Conversazione guidata

Ascolto musica – Terapia occupazionale – Manipolazione / Lab. cucina

RICEVIMENTO PARENTI

 

 

 

Questa tecnica di lavoro, come sostiene la definizione di Spackman, si occupa delle attività umane, e utilizza l’applicazione di normali mansioni di vita, o trattamenti specifici, oppure, ancora, usufruisce di una simulazione di attività lavorativa. Il concetto basilare è che una persona, stimolando l’uso delle mani, che sono governate dalla mente e dalla volontà, riesce ad influire sul proprio stato mentale. Ognuno di noi può normalmente constatare come “lavorare” non significhi necessariamente guadagnarsi da vivere: è nella natura stessa dell’essere umano impiegare il proprio tempo in diverse attività, che coinvolgono i sensi, ma anche la sfera affettiva, sociale e così via.

L’attività in senso terapeutico si rivolge, in particolare, ai deficit sensoriali, percettivo-motori, cognitivi e comportamentali: se applicata nei confronti dell’anziano, si dimostra molto utile, poiché considera la persona nel suo insieme e non si riduce all’applicazione fisica di una terapia. In questo senso, è assai consona al modus operandi dell’educatore – animatore, visto che l’intervento prevede una valutazione generale dell’individuo, delle sue abilità e interessi, al fine di dare un valore alla sua vita e stimolare le sue originali capacità, in modo da mantenerlo nelle sue funzioni umane e sociali.

Quando una persona anziana entra in istituto, spesso compie questo passo non per propria libera decisione, ma per cause di forza maggiore: ciò porta a problemi di ambientamento, traumi e, addirittura, ad un ulteriore aggravamento.
King e Raynes hanno individuato alcuni fattori che, nell’istituzionalizzazione, portano l’anziano a perdere la propria identità:

  • Depersonalizzazione, causata dalla perdita di privacy e dall’impossibilità di avere effetti personali.
  • Distanza sociale, dovuta al distacco tra l’ospite e il personale.
  • Trattamento in blocco; l’anziano non subisce trattamenti personalizzati, ma deve sottostare alle esigenze dell’organizzazione, indipendentemente dalle sue reali necessità.
  • Mancanza di valutazione della routine quotidiana: i giorni si susseguono tutti uguali.

Da tutto questo, proviene la condizione di disagio che l’anziano è costretto a vivere, con conseguente depressione, solitudine, disistima, eccetera. Le sue problematiche, all’opposto, necessiterebbero di un’assistenza assidua, completa e competente e di una situazione che non sia fonte di ulteriore disagio. Si è notato che, spesso, gli ambienti in cui vivono gli anziani danno scarse stimolazioni sensoriali: a causa di ciò, la persona può attuare una deprivazione volontaria e decidere di respingere ulteriori stimoli.
Cesa Bianchi spiega la deprivazione sensoriale come “condizione in cui un soggetto si trova isolato dalla consueta realtà ambientale per l’assenza o la riduzione degli stimoli esterni”, e ne identifica diverse tipologie:

  • Deprivazione sensoriale propriamente detta, in cui la riduzione della stimolazione è puramente quantitativa, come nella cecità, la sordità, ecc.
  • Deprivazione percettiva. In questo caso si ha un’alterazione quali-tativa della stimolazione, tanto che le informazioni sensoriali risultano distorte.
  • Deprivazione sociale: il soggetto è isolato da ogni contatto interpersonale.

Questi tre aspetti della deprivazione possono essere anche definiti come effetti da ipostimolazione, e sono spesso interdipendenti. Il primo intervento da attuare è correggere il più possibile i deficit sensoriali: per esempio, nel caso di difficoltà visive, si devono informare tutti coloro che entrano in contatto con l’anziano, sulla distanza da tenere per permettergli di vedere persone e oggetti; se la persona è sorda si possono utilizzare immagini o scrivere le parole.

Per chiarire il ruolo della terapia occupazionale nel trattamento dei disagi suddetti, Bianca Petrucci, in una sua trattazione, riporta alcuni esempi di esperienze pratiche effettuate da studiosi inglesi e americani. Nel 1958, Casin applicò, ad un gruppo di dementi senili, attività di terapia occupazionale, sociali e domestiche, con lo scopo di ottenere comportamenti appropriati e di migliorare la qualità di vita. Egli, nel tempo, verificò che diminuì l’aggressività e migliorarono il ritmo sonno-veglia e il comportamento sociale. In Australia, nel 1967, Bower fece un’esperienza simile con 25 donne affette da demenza senile: egli suddivise il trattamento in sedute di quattro ore e mezza giornaliere, per cinque giorni alla settimana e per un periodo di sei mesi. Anche in questo caso, furono notati significativi miglioramenti nei rapporti sociali e nella quotidianità. Loew e Silverstone, nel 1971, stimolarono fisicamente, socialmente e psicologicamente un gruppo di 14 uomini anziani, che sviluppò e mantenne nel tempo l’attenzione e la memoria presente. Infine, Salter e Salter usarono un trattamento più completo delle attività della vita quotidiana, tramite attività creative, ricreative e di orientamento alla realtà per circa quattro mesi, ottenendo numerose e specifiche trasformazioni positive: migliorarono l’attenzione, la memoria presente e la capacità di riconoscimento di alcuni oggetti della vita quotidiana, tanto da riacquisire una certa autosufficienza.

Nella pratica, la terapia occupazionale è attuata secondo lo schema seguente:

1) E’ indispensabile una valutazione iniziale dello stato della persona anziana, tramite, (per esempio, la scala Mini Mental State), allo scopo di selezionare alcuni gruppi di lavoro e determinare le modalità e i fini specifici dell’intervento. A una valutazione dello stato mentale, va aggiunta una considerazione sulla vita sociale dell’ospite e la misurazione delle sue capacità residue di autosufficienza. Naturalmente, non si può prescindere dall’effettuare il profilo degli interessi personali e delle esperienze passate.

2) La realizzazione della terapia occupazionale si esplica, poi, nella realizzazione delle motivazioni seguenti: fare in modo che l’anziano non consideri terminata la propria esistenza e desideri essere coinvolto.

3) Ciò si realizza tramite la mobilizzazione, in modo che l’ospite recuperi una certa autonomia, rinforzando le capacità fisiche residue.

Occorre, inoltre, sviluppare l’indipendenza nelle normali attività quotidiane, incoraggiare la socializzazione con gli operatori e gli altri anziani; riorientare alla realtà; migliorare la qualità della vita, creando un ambiente confortevole, sicuro e familiare; mantenere le abilità fisiche e mentali. Queste caratteristiche possono essere facilmente ricondotte ai principi basilari dell’animazione, e denotano, perciò, alcune linee guida tipiche dell’impostazione del lavoro.

 

Avvertenze

Ogni attività va costruita con pazienza.

Le proposte non devono mai “piovere dall’alto”.
Suggerite attività adatte alle persone che vi parteciperanno.

Le prime volte in cui proporrete un’attività sarete visti “con sospetto”: non demordete!

Non aspettatevi sempre piena partecipazione: un risultato è buono anche se l’attenzione è variabile.

Non costringete mai nessuno a partecipare.

Spingete con dolcezza alla partecipazione chi vi sembra adatto a una certa attività.


Elenco delle possibili attività

Attività di lettura

Attività di movimento

Lettura del quotidiano Ginnastica
Lettura del libro Psicomotricità

Attività di laboratorio

Momenti di festa

Laboratorio creativo Festa dei compleanni
Laboratorio grafico Festa stagionale
Laboratorio di cucina
Il Giornalino

Altre attività

Giardinaggio Attività religiose
Attività di cura della persona

Attività musicali e audiovisive

Ascolto musica

Uscite

Canto Passeggiate
Animazione musicale Gite
Ballo Soggiorni
Visione di videocassette
Proiezione di diapositive

Pet therapy

ATTIVITA’ LUDICHE

Incontro con gli ospiti

Tombola Incontri individuali
Tombola sonora Giro camere
Tombola musicale
Giochi di carte
Dama e scacchi
Il gioco dell’oca
Memory
Mondo
Giochi di Kim

La tecnica del trompe l’oeil

Il termine francese Trompe l’Oeil  significa letteralmente “inganno dell’occhio”.Questo termine viene usato per indicare una tecnica pittorica che, attraverso l’uso della prospettiva e dei giochi di luce ed ombra crea l’illusione di qualcosa che in effetti non c’e’.
L’effetto di sfondamento ottenuto dipingendo delle aperture su dei muri (o tele o pannelli), è senza dubbio uno dei più sorprendenti del trompe l’oeil. Lo scopo di ricreare piacevoli paesaggi è quello di offrire un luogo di distensione per dimenticare il grigiore che spesso regna all’esterno.

Cenni storici

Le più antiche testimonianze di questa tecnica si sono ritrovate all’interno delle piramidi egizie.
Ebbe momenti di grande popolarità anche in Grecia ed a Roma. Nelle case private di Pompei le decorazioni sulle pareti, talvolta assai raffinate, comprendevano elementi architettonici raffigurati secondo una prospettiva di intuitiva esattezza.
La pittura decorativa parietale, di cui il trompe l’oeil è una derivazione, cadde praticamente in un completo oblio durante il Medioevo. A partire dal Cinquecento, con la scoperta della prospettiva, assunse un nuovo significato, fino a raggiungere il massimo splendore nel Seicento.
L’Italia é sempre stata il maggior centro per questa forma d’arte, della quale si possono ancora ammirare splendidi esempi.

Contenuto dei dipinti

Abbiamo detto che il Trompe l’oeil è quel genere di pittura che propone la “realtà” trasferita negli interni di casa, sui muri, sui mobili o anche sugli oggetti d’arredo;Ia storia dell’arte ci ha regalato molteplici esempi di questa impostazione pittorica geniale ed originale: finte librerie, paesaggi, tende, balconate, cieli aperti e giardini. Nella pittura su porcellana questa tecnica è utilizzata per riprodurre gioielli, cammei e statue ma soprattutto nell’imitazione di materiali.
La porcellana, come pure il legno, si rivelano una base adatta ad essere decorati per ricreare con sorprendente fedeltà le venature del marmo, gli effetti della malachite, del lapislazzuli, della radica.
Si può, così, riproporre su svariati materiali la suggestiva e antica arte dell’intarsio di marmi e pietre dure.

I trompe l’oeil possono essere dipinti su muro, su pannello in legno (medium density) o su tela. La realizzazione di un trompe l’oeil su tela ma anche di qualsiasi altra decorazione dà la possibilità al pittore di agire in modo autonomo dal luogo dove l’opera verrà collocata. E il committente potrà in futuro spostare il dipinto senza perderlo perché dipinto su muro.
Il vantaggio principale è quella di avere un’opera trasportabile e applicabile ovunque.
La tela, a differenza di altri supporti come i pannelli in medium density, quando è applicata sembra un vero e proprio dipinto a parete e segue l’andamento del muro anche se imperfetto, inoltre isola la superficie dipinta dall’intonaco spesso assoggettato a cambi di temperature e ad umidità.
Per queste caratteristiche è quindi consigliabile l’utilizzo della tela.
La possibilità che dà invece un dipinto su pannello è quella di non dover intaccare in nessun modo i muri e di ricollocarlo di volta in volta anche da un ambiente all’altro della casa in base alle sempre nuove esigenze di arredo .

La Grisaille: si intende un genere di pittura monocromatica di solito nelle tonalità di grigio,ma molto spesso in terra di Siena,bruciata,azzurro,ocra. Nella tradizione veniva usata per realizzare bassorilievi,statue,finti stucchi ed elementi architettonici.
Generalmente si stabilisce un’unica fonte luminosa da cui dipendono luci ed ombre. Si preparano tre tonalità,una di base detta intermedia),una più chiara (detta luce) ed una più scura (detta ombra). Si dipinge quindi il soggetto considerandolo come monocromo e ricreando i volumi utilizzando esclusivamente i toni suddetti. Il risultato è raffinato e si presta alla decorazione di svariati ambienti e di vari oggetti.

Il decoupage

Cenni storici

La parola Découpage deriva dal francese ‘découper’, che letteralmente significa ritagliare. La decorazione di oggetti e mobili con la tecnica del dècoupage si dice sia nata in Francia nel XVIII° secolo, ma con molta probabilità è nata invece in Italia, per mano dei maestri mobilieri veneziani. Tra il 1700 e il 1800 ebbe molto successo in Francia e qualche tempo dopo in Inghilterra e America, fino ai primi decenni del 1900
Cenni storici: La parola ‘Découpage’ deriva dal francese ‘découper’, che letteralmente significa ritagliare. La decorazione di oggetti e mobili con la tecnica del dècoupage si dice sia nata in Francia nel XVIII° secolo, ma con molta probabilità è nata invece in Italia, per mano dei maestri mobilieri veneziani. Tra il 1700 e il 1800 ebbe molto successo in Francia e qualche tempo dopo in Inghilterra e America, fino ai primi decenni del 1900.

Tecnica

Le superfici degli oggetti sono sottoposte ad una preparazione di base: restauro, sverniciatura, carteggiatura, mani di antiruggine o fondo coprente etc., necessarie quando si tratta di pezzi vecchi.

Il découpage si può eseguire su qualsiasi materiale: legno, ogni tipo di metallo anche smaltato, sopra e sotto vetro, ceramica e terra cotta, plastica e plexiglas. Per verniciare un oggetto in metallo con i colori acrilici, bisogna dare una prima mano di vernice che si chiama PRIMER. Gli oggetti in legno, prima di venire colorati, devono essere trattati con una mano di turapori, una vernice apposita, che in pratica isola il legno dalla vernice acrilica. Si passa poi alla colorazione del fondo.

Per dipingere gli oggetti da decorare si usano in genere i colori acrilici o smalti, a base d’acqua, sui quali,successivamente come in un collage, si applicano i ritagli di carta. La colla usata per incollare i ritagli è la vinilica.

Diluite la colla con acqua, ma non esagerate: più liquida è la colla, più il rischio di strappare la carta mentre la incollate, aumenta. Non incollate mai la carta se il colore acrilico non è perfettamente asciutto: con la colla a base d’acqua rischiate di sciogliere il colore e macchiare la carta.

Successivamente, nella fase detta annegamento, si applicano tante mani di vernice (anche fino a 50) che servono, oltre che a proteggere la carta, anche ad ottenere una superficie completamente liscia, che sembra dipinta. Esistono due tipi di flatting per verniciare l’oggetto, il flatting ad acqua e quello ad olio diluibile con acquaragia. Il primo ha il vantaggio di essere praticamente inodore, ed è adatto ad oggetti che non devono venire a contatto con acqua.
Il secondo è molto più resistente e gli oggetti protetti con il flatting ad olio possono essere tranquillamente lavati con acqua e sapone, senza nessun pericolo che si sciupino.
Più il Découpage è ben fatto e più sembra un dipinto. Segue la fase dell’invecchiamento con le screpolature e le macchie, che serve a ridare all’oggetto la sua patina di antico. Le tecniche principali per invecchiare un oggetto sono due: IL CRAQUELE’ e la verniciatura con GOMMALACCA.
Il craquelè è senz’altro il più semplice: in commercio si trovano confezioni che includono due tipi di vernice già predisposte per questo utilizzo, basta seguire le istruzioni e il gioco è fatto. La gommalacca dà all’oggetto un colore ingiallito come per effetto del tempo, ma spesso crea, anche a mani esperte, delle antiestetiche macchie sulla carta.

Se volete realizzare il découpage in modo più semplice, basta preparare bene il fondo con la pittura acrilica, applicare con attenzione i fogli ben ritagliati (sempre utilizzando la colla vinilica), e infine verniciare con un paio di mani di vernice trasparente; il risultato sarà meno professionale, ma certamente carino.

Come realizzare un Giornalino d’Istituto.

E’ più semplice di quanto si creda. Se non avete a disposizione un computer, basta una macchina da scrivere.. o una buona calligrafia.

L’importante è che il giornalino cerchi di essere davvero la voce della struttura; potrete coinvolgere le varie figure professionali chiedendo articoli ad hoc: al cuoco chiederete di fornirvi una ricetta, ai parenti di parlare della loro esperienza, del loro lavoro, e così via. Sopratutto intervistate gli anziani, chiedete loro di rievocare favole, filastrocche, proverbi, racconti di come era la vita un tempo.. e sfogate la vostra fantasia con ciò che volete.

Per esempio, aggiungete le foto delle feste, presentate i programmi, festeggiate i compleanni…

Potrete anche coinvolgere il territorio, chiedendo collaborazione alle scuole o agli asili, e così via. Anche la distribuzione potrà uscire dalla struttura e allargarsi al luogo in cui è posta la casa di riposo, per far conoscere all’esterno la sua realtà.

Buon lavoro!

Il giardino dell’

 

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