Smart working: i costi psicologici del lavoro flessibile

Complici le restrizioni sanitarie dovute al Covid-19 lo smart working è divenuto in brevissimo tempo una consuetudine per milioni di italiani. Se prima del 2020 questa modalità di lavoro era conosciuta ai pochi e scarsamente considerata dalle aziende italiane oggi è divenuto un fenomeno collettivo di massa, probabilmente irreversibile. E’ notizia recente che Twitter ha approvato lo smart working globale per i propri collaboratori mentre nel Decreto Rilancio approvato dal Governo si è fatta chiara menzione al diritto dei lavoratori con figli under 14 di svolgere le proprie mansioni a casa.

Con tutta probabilità se ci avessero proposto un anno fa di rinunciare alla vita da pendolare, di dimenticare le code in tangenziale, di poter lavorare vestiti come ci pare, di abbattere i tempi di attesa e perfino di guadagnare qualche ora in più di sonno o di relax avremmo senza dubbio esultato pensando alla realizzazione di un sogno. Non tutto è oro quello che luccica, dice la saggezza popolare, accanto agli oggettivi benefici dello smart working abbiamo iniziato presto a fare i conti con i costi accessori e non sempre evidenti del lavorare da casa. Alla base di questa fatica professionale e personale ci potrebbe essere addirittura un inganno.

Smart working: una definizione di lavoro flessibile

Per smart working infatti si intende quella modalità di lavoro che investe tutta l’organizzazione aziendale, un percorso inserito in un change management e che non ha solo a che fare con la collocazione spaziale delle attività bensì con la valorizzazione del professionista, l’autonomia, la self efficacy, la condivisione di obiettivi e mission coadiuvati dal supporto della tecnologia.

Per molti, quanto riportato sopra, è molto lontano dall’esperienza vissuta, dove i ruoli e gli schemi aziendali pre-covid si sono solo trasferiti nelle mura domestiche carichi per giunta di confusione e di precarietà.

Sarebbe più opportuno quindi parlare per questi collaboratori e dipendenti confinati a casa non di smart working ma di remote o di home working, di delocalizzazione piuttosto che di modificazione funzionale.

L’acquisizione impropria di questo termine potrebbe generare aspettative irrealizzabili, sia da parte del dipendente sia per l’azienda; potrebbe incentivare l’ambiguità rispetto ai diritti e ai doveri, confondere le priorità e caricare eccessivamente il professionista senza l’ausilio di una rete organizzativa adeguata.

Tutto è per subito e io non riesco a tirarmi indietro, che scusa avrei? Sono a casa” racconta un paziente che mi ha chiesto consulenza recentemente.

Le ricerche psicologiche smart working correlate

I dati parlano chiaro: secondo una ricerca promossa da LinkedIn il 21% degli intervistati fatica a staccare la spina dalle attività lavorative, il 36% elude o finge di lavorare alcune ore del giorno, mentre il 16% teme il licenziamento. Conseguenze? Ansia e distress (46%), aumento delle ore giornaliere impiegate per la propria attività (48%), timore di essere giudicato negativamente o di essere addirittura licenziato (19%), reperibilità ampliata e dispercezione rispetto alle urgenze.

Se l’azienda o il datore di lavoro non vi ha formato per operare in flessibilità dovrete essere voi ad orientarvi: o programmate le vostre attività “ad orario” o “a obiettivo”! Seguire entrambe le variabili rischia di non darvi indicazioni valide per valutare il vostro operato e, dunque, a non permettervi una chiara visione dei costi/benefici delle vostre attività.

Anche per coloro che davvero possono vantare di una policy aziendali virtuose i pericoli non sono terminati. Il lavoro, l’ufficio, è entrato nelle nostre impreparate case, senza confini, senza spazi definiti, il ruolo di padre o madre, di convivente o fidanzato non è mai stato così sovrapposto a quello di manager, di insegnante, di impiegato. Il notebook contenente importanti documenti non è mai stato così vicino al latte e cereali del proprio figlio, cosi pericolosamente vicino! Anche la Playstation, la tv, il cellulare personale sono così prossimi a noi che basterebbe un attimo per accedervi e per distrarsi. Tutto lì, senza confini.

Impegni, ruoli, tempistiche, emozioni personali e professionali sono vissuti alla rinfusa, contenuti senza contenitore. Il rischio è cuocere a fuoco vivo una micidiale ricetta per accrescere insonnia,  frustrazione, rabbia e condotte compensatore, cibo e alcool in primis.

Facile immaginarsi anche le ripercussioni lavorative, il calare delle risorse attentive aumenta gli errori e le imprecisioni e così, a cascata, frustrazione, demotivazione, diminuzione dei livelli prestazionali e autovalutazione negativa.  Non certo una buona base per affrontare un periodo nel quale i timori per il covid ci mettono già di per se a dura prova. Non bastasse, i malumori lavorativi, andranno inevitabilmente a pesare sul sistema domestico, gravandolo e rendendolo sempre meno vivibile; un circolo vizioso potenzialmente letale!

L’azienda deve e può fare molto per rendere virtuoso lo smart working, ma anche il dipendente, il libero professionista ha qualche freccia nel proprio arco da poter scoccare, non solo per tutelarsi ma anche per godere appieno i vantaggi della flessibilità lavorativa.

Per chi ha la fortuna di vivere in una grande e suntuosa abitazione, dove è presente uno studio ad utilizzo riservato posto lontano dal trambusto domestico può benissimo passare oltre questo paragrafo. Per tutti coloro invece che debbono convivere e spesso condividere spazi limitati sarà bene che si appuntino alcune importanti indicazioni.

Alcuni consigli pratici per gestire al meglio lo smart working

Cercate di individuare una postazione lavorativa che sia fisicamente o mentalmente separata dal resto e siate autorizzati a difenderla in maniera perentoria. Fino a quando tutto va bene qualche schiamazzo o invasione paiono essere tollerabili ma quando la tensione lavorativa aumenta, c’è il rischio che la situazione degeneri e conti ripercussioni su tutta la famiglia. Se non ci sono muri a dividervi dal resto, metteteci una sedia, un separé, dello scotch di carta a delimitare il vostro spazio: dovete creare una porta che vi permetta di entrare nel mondo lavorativo e  che, una volta terminato l’attività, vi conceda di chiudere “la bottega” fino all’indomani.

Il divano, il letto o lo sgabello della cucina non sono arredo consono per il lavoro. Quell’illusione di essere più comodi rischia di costare molto di più di quando ci si immagini. Le neuroscienze infatti ci indicano come una postura incorretta e prolungata nel tempo determinino infiammazioni sia a livello biologiche che psichico. Spalle ricurve, plesso solare schiacciato, lombare non supportato sono l’anticamera per creare dei veri e propri segnali d’allerta indirizzati al sistema neuroendocrino. E quando ci sono variazioni ormonali possiamo bene immaginare quali conseguenze a breve e lungo termine potremmo incorrere. Se non avete possibilità di acquistare una sedia ergonomica ed una consolle adatta per il lavoro che vi compete dovrete porre molta attenzione al modo in cui vi sedete, modificando volontariamente, di tanto in tanto, il vostro assetto posturale.

Mettete nella vostra “to do list” una serie di check che vi possano rimettere in contatto con il vostro corpo. quando prendete una pausa, non passatela a spulciare le notifiche del cellulare ma occupatevi del vostro corpo, della respirazione, del suo benessere; soprattutto se siete seduti da qualche ora alzatevi e camminate, anche su internet ci sono dei rapidi tutorial che vi permetteranno di riequilibrare il vostro stato corpo-mente.

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) avverte della severità dei possibili problemi dovuti alla sedentarietà lavoro-domestico e suggerisce frequenti pause in cui almeno per 3 minuti ci si impegni a muoversi e a ri-abilitare il corpo.

Cercate inoltre di “farvi belli” non solo per le skype call ma per voi stessi! Il cambio d’abito vi aiuterà a distinguere il tempo lavorativo da quello familiare, inoltre il percepirvi appropriati esteticamente consentirà una maggiore produzione di ossitocina, l’ormone “care” che ci aiuta a sviluppare benessere.

Curate la vostra alimentazione ponendo attenzione a non creare dei picchi glicemici, in questo momento di confusione è importante ancor più non infiammare il nostro metabolismo. Mangiate con regolarità e cadenziate le pause. NON fate l’errore di ingerire cibo mentre lavorate davanti al pc, non è un risparmio di tempo ma un’intossicazione vera e propria. L’assunzione di confort food, soprattutto in assenza di controllo, crea dipendenza, condotte compensatorie e aumento di peso. C’è una stretta relazione nell’asse intestino-cervello, riuscire a mantenere un corretto equilibrio microbiotico del nostro intestino ci garantisce non solo una miglior protezione dagli agenti patogeni ma ci consente di ridurre i livelli d’ansia. Uno studio condotto dall’Università di Tor Vergata “Eating habits and lifestyle changes in Covid-19 lockdown” ha iniziato a fornirci importanti dati sulla disregolazione alimentare avvenuta durante il lockdown e sulle prime importanti conseguenze che questo ha comportato.

Un’ulteriore considerazione inserita nel sistema corpo-mente-ambiente riguarda il benessere visivo. Va detto infatti che le luci blu emanate dai dispositivi tecnologici in ambienti non adeguatamente luminosi sono delle vere e proprie mine vaganti per la nostra psiche perché influenzano negativamente la ghiandola pineale che regola la nostra neurobiologia dal basso. Risultato, modificazione della produzione della melatonina e di conseguenza alterazione ritmi sonno veglia. Come compensare? Luce solare, aprite quanto possibile imposte e finestre, oltre a contrastare le bluelight la luce solare ha effetto sulla produzione di vitamina D, efficace alleata del nostro sistema immunitario.

Real Way of Life – slide F.Sinibaldi

Un ultimo suggerimento, in questo caso più di natura comportamentale, riguarda l’importanza di mantenere dei periodi refrattari tra un’attività e l’altra. quest’ultimo contributo nasce da alcune riflessioni portatemi dai miei pazienti che hanno vissuto i primi colloqui in lockdown come più rapidi e meno significativi. Tra le molte considerazioni è apparso evidente che “il viaggio per venire in studio, il tempo in sala d’attesa, il rientro a casa” fosse già tempo terapeutico che il paziente si dedicava per prepararsi e per fare tesoro del lavoro clinico.

Attraverso Skype o FaceTime la seduta inizia qualche istante dopo l’ultimo impegno lavorativo e terminava appena spenta la telecamera“, racconta una paziente, ” questo mi porta a sentirmi meno in contatto con me stessa e meno capace di fare frutto del lavoro condotto“.

Come per la terapia, così per lo smart working, il repentino passaggio di attività brucia le tappe, non permette di rimettere in ordine i pezzi e crea confusione riducendo il quoziente beneficio e l’autoefficacia percepita. Oltre alla stanza (fisica o mentale) dobbiamo costruirci quindi anche un “corridoio”, una zona di decompressione, che sarà molto utile per elaborare e vivere le attività ordinarie e straordinarie. Tenetevi quindi del tempo per voi, prima di affrontare uno compito, prima di rimettere i panni del padre o della madre, non sarà tempo sprecato, anzi, vi garantirà una massima resa perché più “centrati“.

In sintesi, individuando un luogo fisico dove abitare il lavoro sarà più facile rispettare le scansioni del tempo, tutelando l’impiego e il vostro mondo domestico. Un corpo non infiammato sarà inoltre capace di avere forza e controllo sufficiente per far rispettare i propri spazi senza eccedere in inutili attacchi d’ira.

CONTATTAMI QUI per un appuntamento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.